01/01/2013 - 01:00

La realizzazione di un 'punto di ristoro' in zona agricola: definizione e limiti

Tutte le attività e gli interventi che si ritengono realizzabili in zona agricola restano comunque funzionali ad un'attività tipicamente agricola o alle altre attività alla stessa intimamente connesse con esclusione, quindi, di tutto ciò che é riferibile ad altre zone individuate in sede di pianificazione del territorio comunale, con la conseguenza che una struttura eminentemente residenziale o turistico-alberghiera non potrebbe in ogni caso realizzarsi in Zona "E"- Corte di Cassazione Penale Sez. 3^, 9 marzo 2012 (Cc. 23/02/2012), Sentenza n. 9369.

La realizzazione di un 'punto di ristoro' in zona agricola: definizione e limiti

Agricoltura sostenibile. La fattispecie in esame è relativa alla realizzazione, in zona agricola "F" del Piano Urbanistico del Comune di T. (Regione Sardegna), di un complesso immobiliare alberghiero tipo residence in luogo del previsto e autorizzato "punto di ristoro", struttura ricettiva che, per tipologia e destinazione, avrebbe dovuto essere localizzata in zona "F" determinando così la trasformazione urbanistica dell'area a destinazione agricola ed, in realtà, asservita a destinazione "turistica" in violazione della normativa e degli strumenti urbanistici vigenti.

Nella specie, il Tribunale di Oristano - Sezione Unica Penale, con ordinanza del 7 ottobre 2011, rigettava l'istanza di riesame proposta nell'interesse di R. V. e confermava il decreto di sequestro emesso dal G.I.P. del medesimo Tribunale in data 17 agosto 2011 del predetto residence, ipotizzandosi la violazione degli articoli 30 e 44, lettera e) D.p.r. 380/01 e 181 D.Lv. 42/2004. Avverso tale pronuncia la predetta proponeva ricorso per cassazione.

Il Tribunale affermava che, nella zona interessata dall'intervento, classificata come agricola, potevano essere realizzati "punti di ristoro" le cui caratteristiche sono definite dal Decreto Assessoriale n. 22661U del 20 dicembre 1983, mentre l'intervento edilizio realizzato dalla ricorrente, lungi dal rientrare in tale categoria, configurava una complessa struttura turistico alberghiera riconducibile alla tipologia dei residence, in quanto costituita da mini-appartamenti, un centro benessere ed una piscina e priva di bar, ristorante o tavola calda, la cui presenza è tipica dei "punti di ristoro" e, come tale, realizzabile quindi in zona turistica "F".

I giudici del riesame ritenevano inoltre non determinante la interpretazione del Decreto del Presidente della Giunta Regionale 3 agosto 1994 n. 228 e della Legge Regionale 12 agosto 1998 n. 27 suggerita dalla difesa, considerando che tali disposizioni presuppongano comunque l'esistenza delle caratteristiche del "punto di ristoro" come individuato dal menzionato decreto assessoriale e che la struttura realizzata, comunque, non possedeva.

Turismo sostenibile. La ricorrente, infatti, evidenziava la rilevanza della Legge Regionale 27\1998 nella disciplina delle strutture ricettive diverse dagli alberghi e destinate al turismo rurale, comprendente anche i "punti di ristoro", da intendersi quali strutture turistico - ricettive a tutti gli effetti che si differenziano dalle altre strutture del genere non tanto per la destinazione quanto, piuttosto, per i requisiti di carattere urbanistico - edilizio come pure confermato dal PUC del Comune di T.

Ciò posto, la Corte rileva che, non essendo in contestazione la classificazione dell'area come agricola (Zona "E" del PUC di T.), va individuata, in primo luogo, la nozione di "punto di ristoro" essendo tale struttura realizzabile in detta area, diversamente dai residence ed altre strutture ricettive la cui realizzazione è, invece, espressamente vietata.

La disposizione in esame, in realtà, non fornisce alcuna definizione specifica del "punto di ristoro", limitandosi a prevedere che presso simili strutture possa svolgersi, alle condizioni indicate (la cui sussistenza, stante il tenore letterale della norma, deve ritenersi contestuale e non alternativa), attività di turismo rurale.

In particolare, l'articolo 10 della Direttiva per le zone agricole emanata dalla Regione Sardegna, in ossequio al disposto dell'articolo 8 della Legge Regionale n. 45/1989, con DPGR 3 agosto 1994, n. 228 ha, come finalità (articolo 1) quelle di:

"a) valorizzare le vocazioni produttive delle zone agricole garantendo, al contempo, la tutela del suolo e delle emergenze ambientali di pregio;

b) incoraggiare la permanenza, nelle zone classificate agricole, della popolazione rurale in condizioni civili ed adeguate alle esigenze sociali attuali;

c) favorire il recupero funzionale ed estetico del patrimonio edilizio esistente, sia per l'utilizzo aziendale che per quello abitativo" e stabilisce, nell'articolo 11, che in dette zone sono ammessi anche "punti di ristoro" indipendenti da una azienda agricola, dotati di non più di venti posti letto, con un determinato indice fondiario e che il lotto minimo vincolato per quelli isolati di nuova realizzazione deve essere di ha 3 ed in tal caso quando la struttura è inclusa in un fondo agricolo che comprende attrezzature e residenze, alla superficie minima di ha 3, vincolata al punto di ristoro, va aggiunta quella minima di ha 3 relativa al fondo agricolo.

Anche in questo caso, tuttavia, manca una precisa definizione di "punto di ristoro" ed il riferimento a tali tipologie di strutture viene sempre effettuato dandone per scontata l'individuazione e disciplinando aspetti ulteriori, quali l'indicazione delle tipologie di attività che in esse possono essere svolte e le modalità con le quali possono essere realizzate evidenziando, peraltro, una particolare attenzione alla specifica destinazione agricola di zona, con precisi richiami al singolare contesto territoriale e sociale ed alle caratteristiche costruttive tipiche, sintomatici della precisa intenzione di garantire il massimo rispetto della destinazione impressa all'area e che suggeriscono un estremo rigore interpretativo.

La definizione di "zone agricole" offerta dalla medesima direttiva ("parti del territorio destinate all'agricoltura, alla pastorizia, alla zootecnia, all'itticoltura, alle attività di conservazione e di trasfòrmazione dei prodotti aziendali, all'agriturismo, alla silvicoltura e alla coltivazione industriale del legno") risulterebbe, comunque, del tutto incompatibile con la possibilità di consentire la realizzazione in tali aree di strutture ricettive di diversa consistenza e tali da snaturarne la destinazione.

Il Tribunale del riesame, allo scopo di individuare le reali caratteristiche dell'intervento edilizio realizzato dalla ricorrente, richiama il contenuto del Decreto Assessoriale 23 dicembre 1983 n.22661U recante "Disciplina dei limiti e dei rapporti relativi alla formazione di nuovi strumenti urbanistici ed alla revisione di quelli esistenti nei Comuni della Sardegna", il quale contiene una definizione dei "punti di ristoro", specificando che come tali "devono intendersi i bar, i ristoranti e le tavole calde, cui possono essere annesse, purché di dimensioni limitate, altre strutture di servizio relative a posti letto nel numero massimo di venti e ad attività sportive e ricreative'".

Sulla base di tale definizione i giudici del riesame evidenziano come la presenza di posti letto sia meramente accessoria all'attività di ristorazione ed escludono, conseguentemente, che quanto realizzato dalla ricorrente possa ritenersi compatibile con la destinazione impressa all'area dallo strumento urbanistico.

Ebbene, la corte sostiene che le conclusioni cui giunge il Tribunale devono ritenersi corrette e perfettamente in linea con il tenore letterale e le finalità delle disposizioni in precedenza richiamate.

Invero, ciò che appare determinante é il costante riferimento, in tutte le disposizioni richiamate, alla destinazione agricola dell'area che lo stesso Decreto assessoriale definisce come "le parti del territorio destinate ad usi agricoli e quelle con edifici, attrezzature ed impianti connessi al settore agro pastorale e a quello della pesca, e alla valorizzazione dei loro prodotti".

In altre parole, afferma la Corte, “tutte le attività e gli interventi che si ritengono realizzabili in dette zone restano comunque funzionali ad un'attività tipicamente agricola o alle altre attività alla stessa intimamente connesse con esclusione, quindi, di tutto ciò che é riferibile ad altre zone individuate in sede di pianificazione del territorio comunale, con la conseguenza che una struttura eminentemente residenziale o turistico-alberghiera non potrebbe in ogni caso realizzarsi in Zona "E".

“Del resto, la definizione stessa di "punto di ristoro" fornita dal richiamato decreto assessoriale evidenzia la sua natura di mera infrastruttura di supporto, destinata prevalentemente alla somministrazione di cibi e bevande e dove la presenza di altre strutture di servizio quali, appunto, quelle destinate a posti letto o ad attività sportive e ricreative, è meramente occasionale, secondaria e contenuta entro limiti predeterminati”.

Il collegio afferma, infine, che correttamente il Tribunale ha evidenziato che, nella specie, tali caratteristiche consentono di qualificare la struttura come vera e propria struttura turistico-ricettiva e che proprio sulla base di tale precipua caratteristica, la ricorrente aveva ottenuto l'aumento dei posti letto da 20 a 36. Risulta, inoltre, secondo la corte, corretta la valutazione, da parte del Tribunale, dei presupposti di legge per il mantenimento del sequestro oggetto di riesame.

Il ricorso, pertanto, è stato rigettato.

Andrea Settembre
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