20/05/2013 - 09:09

L'impronta della terra per un'agricoltura sostenibile

Abbiamo familiarità con il termine "carbon footprint", che indica la quantità di anidride carbonica (CO2) emessa da una attività, organizzazione o individuo. Imprese private e pubbliche cercano continuamente nuovi modi per ridurre la loro carbon footprint, dimostrando così l'impegno per un futuro più verde.
 
Ma il concetto di impronta ecologica si può estendere anche all'acqua, al cibo e alla terra; diminuire le impronte non riguarda solo la sostenibilità teorica, ma si deve estendere anche agli ambiti governativi e industriali.
 
Di recente l'organizzazione Friends Of the Earth Europe (FOEE) ha pubblicato un rapporto nel quale si definisce una impronta della terra come "la terra necessaria per produrre tutti i prodotti e servizi che consumiamo". L'idea di una land footprint (LF) è di vitale importanza, perché come sappiamo la Terra ha una quantità limitata di terreni utilizzabili. Lo sviluppo di nuove terre fertili è un processo estremamente lento, mentre la distruzione può avvenire in tempi brevissimi, con conseguenze pericolose nel medio-lungo termine per gli ecosistemi e le economie del posto. Secondo il rapporto, ogni oggetto che compriamo, dalla carne ai pc portatili, ha una "impronta terra incorporata", ossia la quantità di terreno utilizzato per la produzione di quel particolare elemento. Questa impronta è fatta per esempio dal terreno utilizzato per la coltivazione delle piante di caffè o di cotone, oppure da quello dove si estrae il litio per le batterie. Naturalmente il terreno su cui viene coltivato il caffè continua a produrre per anni, mentre l'estrazione mineraria consuma una quantità finita di risorse. È importante sottolineare che tutta questa terra può essere vista come una merce globale, importata ed esportata come un bene virtuale incorporato nei prodotti.
 
In Europa le abitudini di consumo superano di gran lunga la capacità del territorio, portando, in base a questo meccanismo, a notevoli importazioni di terreni che sono utilizzati altrove per crescere, estrarre, svilupparsi in generale. La FOEE ha rilevato che il 40 per cento dei terreni agricoli necessari per soddisfare la domanda europea di prodotti si trova in altre regioni del mondo, se ci si riferisce alla sola produzione agricola ed allevamento del bestiame. Questo aumento di richiesta dei beni contribuisce al cosiddetto land grabbing di quelle regioni, in particolare dei luoghi con i diritti di proprietà ambigui o incerti, dove le risorse naturali possono essere precettate dallo Stato e vendute al miglior offerente. Inoltre, le politiche che da un lato sembrano proteggere l'ambiente e le risorse naturali dall'altro potrebbero essere controproducenti. Ad esempio, la riduzione delle emissioni da carburanti per il trasporto, tende ad aumentare la domanda di biocarburanti e aggrava il problema della LF, nonostante gli obiettivi primari siano molto apprezzabili. Per contrastare questi fenomeni può essere maggiormente diffusa l'agricoltura biologica, specie se applicata in modo efficiente come l'agricoltura industrializzata. Il rapporto della FOEE evidenzia la necessità di una strategia integrata per soddisfare i requisiti nutrizionali del mondo: rendere l'agricoltura nei paesi industrializzati meno intensiva e più sostenibile.
 
Una coalizione composta da una serie di organizzazioni non governative e non-profit ha richiamato i governi europei per abbassare la LF totale, con politiche specifiche quali l'aumento dell'agricoltura biologica, l'incremento dei flussi locali e regionali rispetto a quelli globali, la riduzione, nei limiti del possibile, del consumo di carne e prodotti lattiero-caseari (la dieta mediterranea già ce lo insegna!), il favorire un corretto riciclo dei rifiuti alimentari. Si devono cioè considerare le funzioni ecologiche globali del territorio come una sorta di risorsa rinnovabile, che alimenterà la vita per i nostri discendenti, per allontare il pericolo che gli alti tassi di consumo portino banalmente ad aumentare la produttività, peggiorando la qualità ambientale.

In definitiva, c'è molto da fare per sensibilizzare le coscienze individuali su queste tematiche; tuttavia, se l'Europa e gli altri stati strategici si uniscono in uno sforzo globale per ridurre le impronte di terra, la carbon footprint e tutti i sottoprodotti negativi del nostro tempo, si potrà prospettare una distribuzione di cibo più equa, senza sprechi, e una migliore qualità del suolo coltivabile, affinchè la recessione del degrado ambientale sia di giovamento a tutte le economie locali.
 
(autore: Giacomo Matera Capicciuti)
Redazione
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