30/06/2022 - 12:05

Siccità: occorre fermare i cambiamenti climatici e cambiare modello agricolo

Greenpeace commenta la mancanza di acqua che sta ormai da mesi colpendo il Paese da nord a sud. Occorre ottimizzare al meglio le risorse idriche a disposizione.

 

Siccità, cambiamenti climatici, modello agricolo

«Se vogliamo affrontare il problema siccità, ormai diventato un fenomeno strutturale e non più solo emergenziale, dobbiamo intervenire sui due fattori che incidono principalmente sulla scarsità idrica. Dobbiamo ottimizzare al meglio le risorse idriche a disposizione, mettendo in discussione come e per quali scopi utilizziamo questo bene sempre più scarso, a partire dai consumi per l’agricoltura, e dobbiamo accelerare nella lotta alla crisi climatica in corso». Così Simona Savini, della campagna agricoltura di Greenpeace Italia, commenta la mancanza di acqua che sta ormai da mesi colpendo il Paese da nord a sud. 

Secondo i dati dell’European Environment Agency, l'agricoltura è il settore che più necessita di risorse idriche: in Europa circa il 59% dell’acqua dolce è utilizzato per questa attività, con l’Italia secondo Paese del continente per ricorso all’irrigazione per le proprie coltivazioni. Non a caso, le stime delle organizzazioni di categoria sui danni all’agricoltura previsti a causa della siccità nel 2022 oscillano tra uno e tre miliardi di euro. In particolare nel bacino del Po è a rischio circa il 50% della produzione agricola. 

«Sono a rischio soprattutto colture come mais e soia, la cui reperibilità sul mercato è già complicata a causa della guerra in Ucraina. Queste materie prime però non sono destinate al consumo umano, perché vengono quasi interamente indirizzate alla filiera zootecnica», continua Savini. «C’è dunque bisogno di ripensare il sistema degli allevamenti intensivi che, oltre ad avere impatti importanti sul clima del Pianeta, consuma oltre un terzo di tutta l’acqua usata dal settore agricolo, anche per le grandi estensioni di terreni irrigui dedicati alla produzione di mangimi. Queste percentuali mostrano che stiamo utilizzando in modo poco efficace risorse naturali sempre più scarse come l’acqua, e proprio per questo è urgente ridurre subito il numero di animali allevati», conclude Savini. 

Il mais è infatti, dopo il riso, la seconda coltivazione italiana per consumi irrigui (circa il 20% del volume totale). Greenpeace ritiene perciò preoccupanti le intenzioni del MIPAAF e di alcune organizzazioni di categoria, come Coldiretti, di seminare mais sui terreni cosiddetti “a riposo”, approfittando delle deroghe concesse dall’Unione Europea in risposta alla crisi connessa al conflitto in Ucraina. Per l’organizzazione ambientalista è necessario proteggere i terreni agricoli da ulteriori stress, affinché possano continuare a essere produttivi negli anni a venire. Questo significa rafforzare e non derogare a quelle misure ambientali che, proteggendo l’ambiente, tutelano anche la salute e la fertilità dei suoli e delle aree agricole, ad esempio aumentando la loro capacità di trattenere umidità. Continuare a usare terreni, risorse naturali e acqua per alimentare un sistema di produzione zootecnica intensiva è un errore che non va più commesso.

Marilisa Romagno
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