01/01/2013 - 01:00

La dichiarazione di notevole interesse pubblico di un'area

La dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardante un'area "vasta" non costituisce espressione di una funzione di pianificazione; il provvedimento infatti, adottato nell'esercizio di un diverso e autonomo potere, non attiene alla detta funzione né la acquisisce per il fatto della integrazione nel piano - Consiglio di Stato, Sezione VI, Sentenza 30 dicembre 2011, n. 7005.
Il Consiglio di Stato, Sezione VI, con la sentenza 30 dicembre 2011, n. 7005 ha riconosciuto la legittimità dell'operato del Ministero per i Beni e le Attività Culturale in relazione alla propria azione di tutela del paesaggio e, quindi, di governo del territorio nell'agro romano.

Nel caso di specie, il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali - Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, in data 25 gennaio 2010, ha dichiarato il notevole interesse pubblico dell'area sita nel Comune di Roma, Municipio XII, qualificata "Ambito Meridionale dell'Agro Romano compreso tra le Vie Laurentina ed Ardeatina", ai sensi e per gli effetti dell'art. 141, comma 2, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modifiche ("Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi della legge 6 luglio 2002, n. 137"; in prosieguo "Codice").

Inizialmente, alcuni proprietari delle aree interessate dal suddetto decreto ministeriale, proponevano ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, chiedendo l'annullamento del citato Decreto del Ministero per i beni e le attività Culturali - Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio del 25 gennaio 2010.

In particolare, nel ricorso si indicava che per le aree di proprietà i ricorrenti avevano individuato, in relazione al decreto di vincolo, una sostanziale identità di previsioni rispetto a quelle già stabilite in sede di Piano Territoriale Paesistico Regionale (in prosieguo "PTPR"), adottato ai sensi dell'art. 134, comma 1, lett. c), del Codice (con deliberazioni della Giunta della Regione Lazio, n. 556 del 25 luglio 2007 e n. 1025 del 21 dicembre 2007).

Il TAR, con la sentenza n. 1041 del 2011, respingeva il ricorso, disponendo la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

I proprietari dei terreni poi proponevano appello chiedendo l'annullamento della sentenza di primo grado e, di conseguenza, l'annullamento del provvedimento impugnato, previa rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni di illegittimità costituzionale proposte nell'appello riguardo a diverse norme del Codice.

Nell'appello si richiamava, anzitutto, che i terreni di cui si tratta, ricadenti in zona H" - Agro Romano vincolato nel Piano regolatore Generale del 1965, erano stati poi nuovamente destinati a zona agricola con la variante generale al detto PRG (così detto "Piano delle certezze" adottata con delibera del Consiglio comunale n. 92 del 1997); i terreni, non qualificati di rilevanza ambientale nell'ambito della "Rete ecologica" del nuovo Piano Regolatore Generale (P.R.G.), erano stati successivamente ricompresi nel PTPR come ambito tipizzato della campagna romana ed ivi classificati nei sistemi di paesaggio "paesaggio agrario di valore " e "paesaggio naturale" ai sensi dell'art. 134, comma 1, lett. c) del Codice, al cui riguardo il Comune di Roma aveva valutato favorevolmente le osservazioni proposte al detto PTPR dai medesimi ricorrenti (delibera del Consiglio Comunale n. 32 del 2008) che avevano quindi partecipato all'invito pubblico indetto dal Comune per l'attuazione del piano di "Housing sociale" (delibera della Giunta del Comune di Roma n. 315 del 2008).

Le questioni sollevate si concentravano, in particolare, sul presunto eccesso di delega operato nella redazione del D.Lgs. n. 42/2004:
-    sia in merito alla introduzione di una terza categoria di beni paesaggistici,
-    sia sulla presunta identificazione del paesaggio con il territorio,
-    sia a causa della indiscriminata valenza pianificatoria che avrebbe assunto il provvedimento ministeriale di tutela paesaggistica,
-    sia sul contrasto con diverse norme costituzionali.

Il Consiglio di Stato, ha ritenuto però non rilevanti tali censure ai fini del giudizio e le ha rigettate.

Quanto al primo eccesso di delega la Corte ha rilevato che:

-il provvedimento impugnato è stato emanato ai sensi dell'art. 141, comma 2, del Codice, sulla base dei relativi articoli 136, 138, 139 e 140, e perciò nell'esercizio del potere del Ministero di dichiarare il notevole interesse pubblico di beni paesaggistici ad esso attribuito quale potere autonomo rispetto a quello assegnato all'identico fine alle Regioni;

-i beni paesaggistici sono individuati dall'art. 134 in tre categorie, specificate, rispettivamente nelle lettere a), b) e c) del comma 1, la prima delle quali è individuata negli "immobili e le aree di cui all'art. 136, individuati ai sensi degli articoli da 138 a 141" (concernenti, questi ultimi, il procedimento per la dichiarazione di interesse pubblico da parte delle Regioni e del Ministero; vincolo così detto del "primo tipo"), la seconda nelle "aree di cui all'art. 142" (cioè tutelate per legge; vincolo cosi detto del "secondo tipo") e, la terza, nei già richiamati "ulteriori" immobili e aree di cui all'art. 136 sottoposti a tutela dai piani paesaggistici regionali (vincolo cosi detto del "terzo tipo"); il potere ministeriale di dichiarare un bene paesaggistico di notevole interesse pubblico è previsto dall'art. 138, comma 3 (secondo il procedimento di cui all'art. 141) per il quale la detta dichiarazione riguarda "gli immobili e le aree di cui all'art. 136"e non gli "ulteriori" immobili ed aree di cui all'art. 134, comma 1, lett. c), oggetto, come visto, non della dichiarazione di interesse pubblico espressa con apposito provvedimento amministrativo (regionale o ministeriale) ma di quella determinata con sottoposizione dei beni a tutela da parte dei piani paesaggistici (in particolare ai sensi dell'art. 143, comma 1, lett. d);

-il bene paesaggistico oggetto di tutela nella specie non è perciò da riferire a quelli di cui alla lettera c) del comma 1 dell'art. 134 ma a quelli di cui alla lettera a) del medesimo comma, poiché, soltanto per questi la detta lettera a) prevede la dichiarazione di interesse pubblico con singolo provvedimento amministrativo, con il rinvio espresso al procedimento "degli articoli da 138 a 141" (cioè al vincolo del primo tipo);

-per cui, in conclusione: il provvedimento impugnato reca la dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi degli articoli 138 e 141; questa dichiarazione non può che concernere i beni di cui alla lettera a) dell'art. 134 come specificati nell'art. 136.


Pertanto, non ha rilevanza di conseguenza per il Consiglio di Stato la questione dell'asserito eccesso di delega di cui alla lettera c) del più volte citato comma 1 dell'art. 134, in quanto disposizione non applicata per l'emanazione del provvedimento suddetto.

Per quanto riguarda il secondo eccesso di delega la Corte ha dichiarato:

-Nel testo dell'art. 131 del Codice precedente alla modificazione disposta con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63, il "Paesaggio" era identificato con "parti" del territorio "i cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni", la cui tutela e valorizzazione "salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili"; a seguito del decreto legislativo n. 63 del 2008 il testo vigente dispone che "1. Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni. 2. Il presente Codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali".

-La eliminazione del riferimento al paesaggio come costituito da "parti" del territorio non risulta sufficiente a far ritenere che nel testo vigente sia stata stabilita la effettiva o potenziale coincidenza del paesaggio con tutto il territorio, considerato che dal comma 1 non emerge tale coincidenza essendo per esso paesaggio non tutto il territorio ma la parte di esso espressiva di identità, in conformità alla valenza del paesaggio come fattore identitario della Nazione ai sensi dell'art. 9 della Costituzione ed a quanto previsto dalla Convenzione europea del paesaggio, adottata a Firenze il 20 ottobre 2000 (ratificata con la legge n. 14 del 2006), per il cui articolo 5 il paesaggio è "fondamento" della identità delle popolazioni. La parte del territorio qualificata come paesaggio può perciò, in ipotesi, essere anche molto estesa ma deve essere individuata e delimitata in forza del motivato riconoscimento in essa dei tratti identitari che a loro volta si identificano, per il comma 2 dell'art. 131 del Codice, in "aspetti e caratteri" non generici ma tali da rappresentare in modo "materiale e visibile", e dunque specifico, l'identità nazionale in quanto espressione "di valori culturali" e non di indifferenziate caratteristiche che non attingano la soglia di tali valori.

-Ciò considerato il testo vigente non risulta, in sostanza, diverso da quello precedente anch'esso distinto dalla identificazione del paesaggio in quanto parte del territorio espressiva, come visto, di "manifestazioni identitarie percepibili".

-Né vale in contrario la disciplina dei piani paesaggistici quale emerge in particolare dagli articoli 135 e 143 del Codice, poiché il riferimento alla necessità di assicurare che "tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono" (art. 135, comma 1) esprime una complessiva esigenza di conoscenza e di articolate modalità di gestione del territorio nella sua ineludibile correlazione con il paesaggio ma non comporta l'assoggettamento a regime vincolistico di tutto il territorio, come risulta chiaramente dall'art. 143, ai sensi del quale la ricognizione del territorio è il presupposto per gli interventi differenziati, per aree e modalità di azione amministrativa, specificati nel comma 1 dell'articolo, in cui è anche inclusa la disciplina necessaria per assicurare altresì lo "sviluppo sostenibile" delle aree interessate attraverso la trasformazione del territorio stesso (lettere f), g) e h).

-In questo quadro non sussiste l'asserita irragionevole lesione della proprietà privata ad effetto della sola normazione primaria, considerato che la individuazione della valenza paesaggistica è il requisito comunque in essa richiesto per la determinazione delle aree sottoposte a vincolo; la verifica di tale lesione concerne allora l'azione amministrativa per l'accertamento di suoi eventuali vizi di illegittimità.


In relazione al terzo eccesso di delega, secondo la corte l'integrazione nel piano non attribuisce valenza pianificatoria alla dichiarazione di interesse pubblico in quanto tale, restando questa individuata dal contenuto e dall'efficacia propri. La dichiarazione viene con ciò inserita in uno strumento che la correla ad un quadro di programmazione dell'uso e della valorizzazione del paesaggio al fine, già individuato nella ratio della previsione dei piani paesistici dell'art. 5 della legge n. 1497 del 1939, di coordinare la salvaguardia dei valori paesaggistici delle zone dichiarate di particolare interesse in un più ampio contesto (in riferimento al citato art. 5 cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 gennaio 1993, n. 29).

Inoltre si è sostenuto che:

-la dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardante un'area "vasta" (qualificazione già contemplata nella legge n. 1497 del 1939) non costituisce perciò espressione di una funzione di pianificazione; il provvedimento infatti, adottato nell'esercizio di un diverso e autonomo potere, non attiene alla detta funzione né la acquisisce per il fatto della integrazione nel piano, unico atto cui la funzione è invece attribuita allo scopo, ulteriore rispetto alle determinazioni singole, di coordinare l'interazione tra i vincoli di diverso tipo gravanti sul territorio qualificato come paesaggio in un quadro complessivo. Né la pianificazione risulta orientata al solo effetto della inibizione assoluta della edificabilità poiché il piano presuppone e analizza "lo sviluppo sostenibile delle aree interessate", la presenza di "dinamiche di trasformazione del territorio" e reca prescrizioni e previsioni atte "alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio" compatibili (art. 143, comma 1, lettere h) e f); art. 135, comma 1, lett. d).

-La dichiarazione di notevole interesse pubblico non può a sua volta dirsi viziata per illegittimità intrinseca a motivo del solo dato dell'ampiezza dell'area vincolata, in quanto considerato lesivo, di per sé, della tutela della proprietà privata; la sussistenza di vizi di legittimità di un siffatto provvedimento deve infatti, come per ogni altro, essere verificata specificamente quanto ai presupposti, ai contenuti nonché al corretto esercizio della discrezionalità, nel quadro della costante giurisprudenza della Corte costituzionale sul valore comunque primario che ha la tutela del paesaggio nella Costituzione pur nella correlazione degli ulteriori interessi tutelabili (Sentenza n. 367 del 2007, in cui sono richiamate le precedenti in materia).


Per quanto concerne la quarta censura:

- riguardo all'inclusione dei "paesaggi rurali" e delle "aree degradate" nei piani paesaggistici (art. 135, comma 4, lettere b e d), da un lato non si individua la rilevanza di tali previsioni per il presente giudizio che riguarda un provvedimento di vincolo non adottato con piano paesaggistico e, dall'altro, non risulta specificato, in ogni caso, quale sia il limite di oggetto, principi e criteri direttivi violato con eccesso di delega per effetto delle dette previsioni, avendo la Corte Costituzionale chiarito che "la prima disciplina che esige il principio fondamentale della tutela del paesaggio è quella che concerne la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali" (Sentenza n. 367 del 2007) ed essendo quindi di certo coerente con tale principio riqualificare la morfologia del paesaggio se alcune aree siano degradate ovvero salvaguardare paesaggi rurali se distintivi di tale morfologia; ciò che peraltro risulta anche coerente con le previsioni della Convenzione europea del paesaggio, che per l'articolo 2 "Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiani, sia i paesaggi degradati";

- la eliminazione con la lettera d) del comma 1 dell'art. 136 del riferimento alle bellezze panoramiche "considerate come quadri naturali", dapprima previsto nell'art. 1 della legge 1497 del 1939 (poi limitato alla sola parola "quadri" nel d.lgs. n. 490 del 1999), non comporta, di per sé, effetti di limitazione della proprietà privata equivalendo sempre la visione delle bellezze panoramiche a quella di quadri naturali ed essendo perciò siffatta nozione, in quanto ulteriormente esplicativa di un già chiaro contenuto estetico, priva di valenza giuridica aggiuntiva, tanto più essendo rimasta identica la restante parte della disposizione;

- non sussistono gli asseriti vizi dell'art. 158 del Codice, poiché recante una norma cedevole che dispone l'ultravigenza della normazione regolamentare statale "fino all'emanazione di apposite disposizioni regionali di attuazione del presente codice", in coerenza con l'attribuzione di funzioni e compiti alle Regioni disposta con il medesimo codice ed in attesa perciò che queste ne dispongano la regolamentazione in corrispondenza e nei limiti degli ambiti di competenza.


Conclusivamente il Collegio ritiene che "da quanto sinora considerato riguardo all'istruttoria, alla motivazione e al contenuto del provvedimento, non risultano dimostrati o verificati vizi di illogicità e di irragionevolezza della discrezionalità esercitata, che anzi appare rispondere ad una moderna e coerente visione del paesaggio fermo che, quanto ai criteri utilizzati, si può censurare la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito dell'opinabilità, circostanza che nella specie non può dirsi certo ricorrente".

Pertanto, il Consiglio di Stato ha respinto l'appello, compensando le spese.
Andrea Settembre
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