01/01/2013 - 01:00

L'occupazione acquisitiva di un suolo: il risarcimento del danno

Nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilità, in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio, il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene.
Il caso affrontato dal T.A.R. Lazio - Roma, Sezione III, Sentenza 18 gennaio 2012, n. 554 ha riguardato la problematica della risarcibilità relativa all'occupazione acquisitiva di alcuni terreni in favore della P.A. Secondo il T.A.R., infatti, per la quantificazione dei danni si deve far riferimento al valore venale del bene.

Nella specie, i ricorrenti erano proprietari di una area, nella zona di Castel Giubileo, che era stata interessata dai lavori per la realizzazione della terza corsia del raccordo anulare. In particolare, con decreto del Prefetto del 20-6-1990, era stata autorizzata la impresa A. S., concessionaria dei lavori per conto dell'Anas, all'occupazione degli immobili.

Dopo i cinque anni da tale provvedimento, che aveva ad oggetto le particelle n° 479 e 853 del foglio ..., non era intervenuto regolare decreto di esproprio, ma la trasformazione irreversibile dell'area aveva comportato la perdita di proprietà dei ricorrenti.

Peraltro, la A. S., nel corso dell'esecuzione dei lavori aveva, altresì, occupato una ulteriore area non oggetto del decreto di occupazione del 1990, per cui i ricorrenti avevano chiesto tutela al giudice ordinario per la cd. occupazione usurpativa.

Con verbale del 6-2-1991 una parte dei terreni non utilizzati erano stati restituiti (di cui alle particelle 479 e 853).

Con ricorso al T.A.R., pertanto, i ricorrenti proponevano domanda di risarcimento danni per occupazione acquisitiva delle aree oggetto della dichiarazione di pubblica utilità e del decreto di occupazione.

Intanto, con sentenza n° 33716 del 2002, confermata dalla Corte d'appello di Roma con sentenza n° 3939 del 2009 passata in giudicato, l'Anas e l'A. S. venivano condannati al risarcimento dei danni per la occupazione in assoluta mancanza di titolo e l'Anas veniva dichiarata proprietaria del terreno occupato per la realizzazione dell'opera.

In via preliminare, il Collegio ha rammentato che nessun dubbio si pone in ordine alla competenza giurisdizionale del giudice amministrativo nella controversia de qua atteso che, come ha ben chiarito la Corte costituzionale nella decisione 11 maggio 2006 n. 191 e come è ben specificato nell'art. 53 del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, detta competenza giurisdizionale sussiste, in via esclusiva, ogni qualvolta la richiesta risarcitoria la cui fondatezza è oggetto del giudizio tragga origine da una procedura espropriativa avviata e non conclusa, anche, dunque, nell'ipotesi, come quella di specie, in cui vi sia stata l'apprensione del bene per effetto di una legittima occupazione, la successiva irreversibile trasformazione del suolo, mentre non si è completato il procedimento amministrativo con l'adozione del relativo provvedimento di esproprio (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 16 aprile 2010 , n. 7262; Cons. Stato, Ad. pl., 30 luglio 2007 n. 9; Cassazione sezioni unite 27 giugno 2007 n. 14794; 15 luglio 2008 n. 19500 e 23 aprile 2008 n. 10444;Corte Cost. n° 349 del 2007).

Come è noto, le figure dell'occupazione appropriativa e dell'occupazione usurpativa sono rispettivamente caratterizzate, l'una, dall'irreversibile trasformazione del fondo in assenza di decreto di esproprio e, l'altra, dalla trasformazione in assenza, originaria o sopravvenuta, di dichiarazione di pubblica utilità (Cass., sez. I, 17 giugno 2005, n. 13001; Corte Cost. 12 maggio 2006, n. 191).

Ha sostenuto, comunque, il T.A.R. che nel merito il ricorso è da considerare fondato.

Secondo il T.A.R., infatti, costituisce circostanza pacifica e non contestata che si sia verificata la cd. occupazione acquisitiva. Alla dichiarazione di pubblica utilità e al decreto di occupazione non è, infatti, seguito il decreto di esproprio. Come risulta dalla consulenza tecnica d'ufficio le aree sono in possesso dell'Anas essendosi verificata la irreversibile trasformazione a seguito della realizzazione della terza corsia del raccordo e del nuovo svincolo.

Non si può poi dubitare che, nel caso di specie, tale irreversibile trasformazione del bene abbia già prodotto il trasferimento della proprietà del bene, senza necessità di un ulteriore atto di acquisizione cd. sanante.

Si deve a tal fine ricordare che rispetto alla norma dell'art. 43 del T.U. n° 327 del 2001, si era dubitato della sua immediata applicabilità anche ai giudizi in corso.

In particolare, la Cassazione aveva ritenuto che il diverso sistema introdotto dal D.P.R. n. 321 del 2001, art. 43 - secondo cui il passaggio di proprietà consegue ad un atto di acquisizione da parte dell'autorità che utilizza il bene immobile per scopi di interesse pubblico (comma 2, lett. e) - non fosse applicabile ai casi, in cui tale passaggio di proprietà si fosse verificato, per effetto dell'accessione invertita, in epoca precedente all'entrata in vigore della disposizione.

Il Consiglio di Stato, invece (Consiglio Stato a. plen., 29 aprile 2005 , n. 2), ha ritenuto l'applicabilità ai giudizi in corso, peraltro in caso di espressa domanda di restituzione.

Inoltre, il Consiglio Stato , sez. V, 07 aprile 2009 , n. 2144, aveva affermato che "dalla riforma introdotta dall'art. 43 t.u. 8 giugno 2001 n. 327 non deriva alcuna preclusione per il proprietario, al quale l'Amministrazione abbia sottratto un suolo in via di fatto o sulla base di un titolo poi annullato o divenuto inefficace, di chiedere, in luogo della restituzione del bene, il risarcimento per equivalente, atteso che l'obiettivo perseguito da detta norma non è di comprimere la facoltà di scelta del privato, ma di attribuire all'Amministrazione, quando ne ricorrano le condizioni di interesse pubblico, il potere di paralizzare la domanda di reintegrazione in forma specifica e di convertire la domanda nella forma del risarcimento per equivalente; ma da ciò non può farsi discendere che il privato deve necessariamente limitarsi a chiedere la restituzione del bene o il risarcimento del danno in forma specifica, essendogli preclusa la strada del risarcimento per equivalente, trattandosi di conclusione che, oltre a non trovare alcun fondamento nel testo della legge, sarebbe aberrante sotto il profilo del rispetto del principio di legalità, in quanto da un comportamento illecito o illegittimo dell'Amministrazione pubblica scaturirebbe non solo la perdita di un diritto sostanziale ma anche una limitazione al diritto di azione sul piano processuale, e ciò senza alcuna apparente ragione di interesse pubblico".

In ogni caso, la norma dell'art dell'art. 43 d.l. n° 98 del 6-7-2011 conv. nella legge n° 111 del 2011 che, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale per eccesso di delega dell'art. 43 T.U. n. 327 del 2011, la Corte Costituzionale (sentenza n° 293 del 2010) ha introdotto l'art 42 bis che prevede una forma di acquisizione sanante, al comma 8 ha previsto espressamente la applicabilità ai "ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore".Ha ritenuto, tuttavia, il Collegio che tale norma non sia applicabile alla presente controversia, in quanto l'art 42 bis al primo comma si riferisce all' acquisizione del bene al patrimonio indisponibile dell'autorità che utilizzi il bene immobile per scopi di interesse pubblico.

Nel caso di specie, il bene, irreversibilmente trasformato in sede autostradale è stato necessariamente già acquisito al demanio stradale statale ai sensi dell'art 822 comma 2 del codice civile, al momento della destinazione alla viabilità pubblica.

E' noto, infatti, che la natura dei beni demaniali è legato alla concreta ed effettiva destinazione alla utilizzazione pubblica, rispetto alla quale ogni atto formale assume solo carattere dichiarativo.

Ha ritenuto dunque il Collegio che la fattispecie in questione debba essere necessariamente regolata dall'istituto della occupazione acquisitiva, con conseguente accoglimento della domanda di risarcimento danni.

È stato oggetto di contestazione tra le parti quali siano le aree interessate dalla occupazione acquisitiva.

La A. S., sulla scorta di alcuni chiarimenti della CTU, sosteneva che l'area oggetto di occupazione illegittima sarebbe minore di quelle indicate dai ricorrenti, in base alle risultanze anche del giudizio civile, che ha risarcito il danno per la cd. occupazione usurpativa ovvero per aree che non erano state ricomprese nei provvedimenti amministrativi .

Ha Ritenuto il Collegio di non seguire tali argomentazioni, dovendo fare riferimento a quanto affermato nella sentenza del Tribunale civile circa la delimitazione delle aree.

Tale sentenza, infatti, è passata in giudicato e quindi costituisce un accertamento incontrovertibile che fa stato tra le parti. La sentenza afferma che l'area effettivamente utilizzata per l'opera pubblica è pari e mq 246,81, dei quali 121,563 sono stati oggetto di occupazione usurpativa da parte della Amministrazione e quindi oggetto di risarcimento danni e trasferimento all'Anas da parte della sentenza stessa .

Sostiene il collegio:

"Ne deriva che necessariamente il presente giudizio deve far riferimento alla restante area di 124, 918, che era prevista nel progetto originario del Ministero dei lavori pubblici e che è stata oggetto di dichiarazione di pubblica utilità.

Tali circostanze, in fatto, sono state confermate anche dal Ctu, che ha affermato che complessivamente l'area effettivamente occupata ed irreversibilmente trasformata risulta pari a 247 metri quadri, anche tenendo conto delle aree restituite.

Anche le consulenze tecniche di parte sia dell'Anas che dell'A. S. depositate in giudizio hanno fatto riferimento alla area di 124,918 metri quadri.

Quanto alle perplessità del CTU, circa la identificazione delle particelle, sembra evidente che nel decreto di occupazione il riferimento alle sole particelle 479 e 853 sia stato mantenuto senza l'adeguamento al successivo frazionamento della particella 479.

In mancanza di contestazione al riguardo, anche nel primo ricorso, si deve ritenere che la particella 479, oggetto del decreto di occupazione, sia quella poi successivamente frazionata; le aree, che risultano occupate legittimamente ma poi illegittimamente irreversibilmente trasformate, sono quelle oggetto del decreto di occupazione, così come affermato anche dal Consulente tecnico di parte dell'Anas".

Rispetto alla quantificazione dei danni, si deve far riferimento al valore venale del bene.

La Corte costituzionale con la sentenza n° 349 del 2007, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale del comma 7 bis dell'art 5 bis del .d.l. n° 333 del 1992 conv. nella legge n° 359 del 1992, che aveva previsto anche per le occupazioni appropriative l'applicazione dei criteri di determinazione dell'indennità previsti per l'espropriazione, ha evidenziato come "essendosi consolidata l'affermazione della illegittimità nella fattispecie in esame di un ristoro economico che non corrisponda al valore reale del bene, la disciplina della liquidazione del danno stabilita dalla norma nazionale censurata si pone in contrasto, insanabile in via interpretativa, con l'art. 1 del Protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo, nell'interpretazione datane dalla Corte europea; e per ciò stesso viola l'art. 117, primo comma, della Costituzione."

In ragione di tali considerazioni, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge n. 662 del 1996, poiché, "non prevedendo un ristoro integrale del danno subito per effetto dell'occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato, è in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU e per ciò stesso viola l'art. 117, primo comma, della Costituzione".

Dalla ricostruzione operata dalla Corte costituzionale emerge la fondatezza della pretesa di parte ricorrente a vedere risarcita la privazione della proprietà privata, con riferimento al valore di mercato del bene.

Si deve altresì tener presente che, nel frattempo, era entrato in vigore, in tema di occupazione appropriativa, l'art. 2, comma 89, lett. e) della legge n°244 del 24 dicembre 2007, che, colmando il vuoto normativo conseguente alla pronuncia di illegittimità costituzionale dell'art. 5 bis, comma 7 bis d.l. n. 333 del 1992, ha modificato l'art. 55 d.P.R. n. 327 del 2001, disponendo che "nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilità, in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996, il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene. Tale norma è stata ritenuta applicabile ai giudizi in corso" (Cassazione civile , sez. I, 31 marzo 2008 , n. 8384).

Quanto alla quantificazione del valore di mercato delle aree, è stata contestata la destinazione d'uso dei terreni, in quanto l'Anas e la società A. S. sostenevano che la fascia di rispetto stradale avrebbero comportato un vincolo di inedificabilità assoluta, con conseguente riferimento al valore agricolo .

Il Consulente d'ufficio ha, invece, affermato che si devono considerare aree edificabili in quanto suscettibili di cedere la loro capacità edificatoria alle aree adiacenti.

Dal certificato di destinazione urbanistica prodotto in atti dalla A. S. è risultata la destinazione F1 ristrutturazione urbanistica con vincolo di rispetto stradale.

Dagli ulteriori chiarimenti richiesti al Comune di Roma, con ordinanza istruttoria, è risultato, che l'area deve essere considerata edificabile.

Il T.A.R., quindi, sostiene che "deve essere considerato il valore venale dell'area commisurato al valore edificabile del terreno".

Discostandosi dalle conclusioni del Consulente d'ufficio, per la quantificazione dei danni ( in particolare rispetto alla identificazione delle aree), il Collegio ha pertanto ritenuto:

•    di fare applicazione del potere di cui all'art 34 comma 4 del d.lgs. n° 104 del 2010, condannando l'ANAS s.p.a. a fare una proposta di una somma a titolo di risarcimento nel termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza o dalla comunicazione se anteriore, considerando il valore edificabile dell'area di 124,918 metri quadri oggetto di irreversibile trasformazione;

•    che trattandosi di risarcimento del danno, e quindi di debito di valore, la somma deve essere rivalutata dalla data della scadenza del termine di occupazione legittima al momento della proposta ex art 34;

•    che su tale somma devono essere poi calcolati i cd interessi compensativi, a decorrere dalla data di scadenza del termine di occupazione legittima e fino alla data della proposta; ciò in funzione remunerativa e compensativa della mancata tempestiva disponibilità della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno.

•    che su tutte le somme dovute decorrono, altresì, gli interessi legali dalla data della liquidazione fino all'effettivo soddisfo (ad. Plen. 9 del 2005).

•    che il ricorso è fondato e che deve essere accolto con pronuncia di condanna dell'ANAS a formulare un'offerta ai sensi dell'art. 34 d. lgs. n. 104/2010, secondo i parametri indicati.
Andrea Settembre
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