11/06/2015 - 07:25

Immigrazione, Galletti: attenzione anche alle ricadute ambientali. Sì al recupero a terra dei barconi

Quanto incidono i flussi migratori che caratterizzano le coste italiane, soprattutto quelle siciliane, sul nostro equilibrio ambientale?
 Ad affrontare la questione è stato il ministro dell'Ambiente, Gian Luca Galletti nel corso dell'audizione di fronte al Comitato Schengen che si è svolta al Senato nell'ambito dell' indagine conoscitiva intitolata "Flussi migratori in Europa attraverso l'Italia, nella prospettiva della riforma del sistema europeo comune d'asilo e della revisione dei modelli di accoglienza".
 
Le implicazioni di carattere ambientale connesse al fenomeno dei migranti, vanno inquadrate nel particolare contesto di fragilità dell'eco-sistema del Mediterraneo, già sottoposto, quale bacino semichiuso, a rilevantissime pressioni antropiche, ha spiegato Galletti. 
 
L'area interessata dalle rotte dei barconi dei profughi costituisce uno degli esempi più importanti per la biodiversità da un punto di vista internazionale. Non è un caso, infatti, che nel canale di Sicilia siano state individuate, più aree EBSA (Ecologically or Biologically Significant Marine Areas), cioè aree più speciali e significative per gli aspetti ecologici e biologici, riconosciute dalla Convenzione mondiale per la biodiversità, adottata a Rio de Janeiro nel 1992 nel corso del summit mondiale delle Nazioni Unite su "Ambiente e Sviluppo", ha continuato il ministro. 
 
Tuttavia, per difendere efficacemente e salvaguardare la biodiversità marina, è necessario prima capire dove intervenire, ed è qui che emerge la rilevanza "internazionale" delle aree marine di importanza ecologica e biologica, soprattutto quelle che ricadono nel Mediterraneo meridionale, interessate al fenomeno della migrazione di clandestini provenienti dalle coste nord-africane. Ma è anche importante comprendere nella sua componente quantitativa il "fenomeno" dei migranti che comporta l'abbandono, e il rischio concreto del loro affondamento, sia in mare aperto, cioè in acque internazionali, che lungo le coste nazionali, cioè in acque territoriali, dei battelli utilizzati. 
 
Per contrastare il fenomeno dello scafismo, una delle soluzioni ipotizzate a livello nazionale, che ha avuto peraltro ampio risalto sui mezzi di informazione, prevedeva che, dopo aver soccorso e messo in salvo i migranti, il comandante dell'unità navale operante avrebbe potuto procedere, in luogo del sequestro, all'affondamento in mare del natante, qualora ricorressero determinate condizioni legate alla salvaguardia delle vite umane e alla sicurezza della navigazione, e non fossero praticabili altri interventi. Benché fosse previsto che la facoltà di affondamento si sarebbe applicata ai soli natanti di stazza lorda inferiore a 500 tonnellate, poiché tale misura corrisponde a navi da carico di lunghezza anche superiore a 50 metri, sono apparse subito evidenti le implicazioni di natura ambientale che l'applicazione di tale regola, ancorché limitata ai soli casi eccezionali consentiti, avrebbe potuto provocare, ha continuato il ministro. 
 
Eventuali iniziative miranti alla "distruzione" e all'affondamento in alto mare dei barconi utilizzati dai trafficanti per il trasporto dei clandestini, una volta concluse le operazioni di soccorso, debbono presentare, in ogni caso, oggettivi caratteri di eccezionalità ed essere comunque legate alla situazione contingente.
 
Quanto al potenziale inquinante rappresentato dai battelli abbandonati dagli scafisti, tenendo conto delle dimensioni medie e delle caratteristiche di tali mezzi, nella maggior parte costruiti in legno, e poi a seguire in ferro e vetroresina, neoprene (i gommoni) e in vetroresina, con apparati motore in genere di bassa potenza, appare verosimile poter stimare per ogni imbarcazione una quantità minimale di olio lubrificante e carburante, ai quali deve essere necessariamente aggiunto materiale di vario genere connesso alla navigazione (parabordi in gomma, bidoni di plastica, cime di nylon, ecc.). Non solo. anche la vernice dello scafo, sia delle imbarcazioni in legno che di quelle in ferro, costituisce di per sé fattore ad alta potenzialità inquinante per gli ecosistemi marini, ha detto ancora Galletti.
 
Il ministro ha poi sottolineato la necessità che nell'ambito della più ampia discussione, sia in sede UE che ONU, vengano adottate iniziative condivise per fronteggiare l'emergenza umanitaria, ma si debba allo stesso tempo concertare ogni iniziativa volta alla soluzione della problematica ambientale connessa ai fenomeni migratori. 
 
L'unica strada percorribile per evitare che i battelli abbandonati a se stessi, dopo aver tratto in salvo i migranti in acque non territoriali, possano rappresentare un rischio per la navigazione o per l'ecosistema marino in caso di affondamento, o venire al limite riutilizzati dagli scafisti, è quello di trainarli presso la costa con appositi rimorchiatori dedicati per poi assoggettarli, una volta definitone lo status proprietario, alla luce degli usi e delle consuetudini internazionali, alle operazioni di recupero e/o smaltimento. In tale eventualità si potrebbe creare una filiera produttiva che possa garantire uno smaltimento corretto e non inquinante dei barconi sulle coste siciliane con l'avvio di una esperienza cantieristica che una volta superata la fase emergenziale potrebbe proseguire creando lavoro, professionalità e sviluppo in una terra segnata dalla crisi e dalla disoccupazione.
 
In questo modo da un lato si potrebbe operare un corretto "fine vita" di queste imbarcazioni, peraltro provvedendo al recupero dei materiali riciclabili e riusabili, e dall'altro, nell'immediato e finché duri l'emergenza, innescare una sorta di ristoro economico per la Sicilia che in questi anni ha mostrato straordinaria capacità di accoglienza dando una prova di grande umanità e civiltà che dovrebbe essere d'esempio in Europa.
Rosamaria Freda
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