26/07/2023 - 11:23

Progetto Mare caldo di Greenpeace: ecco gli effetti dannosi della crisi climatica sui fondali italiani

Nell’ambito del progetto “Mare Caldo” Greenpeace ha valutato gli impatti negativi dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini costieri.

 

Mare caldo

Un numero sempre maggiore di specie termofile, adattate a un mare sempre più caldo, sia native sia aliene. Organismi con segni evidenti ed estesi di necrosi. Alti tassi di mortalità per diversi esemplari che popolano fondali tanto stupefacenti quanto fragili, esposti alle minacce delle attività antropiche e agli effetti della crisi climatica. Sono questi i primi risultati dei nuovi monitoraggi effettuati a inizio giugno da Greenpeace Italia e dal Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita (DISTAV) dell’Università di Genova nell’Area Marina Protetta Capo Milazzo: i rilevamenti sono stati effettuati nell’ambito del progetto “Mare Caldo” di Greenpeace per valutare gli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini costieri.

Il monitoraggio nell’area marina protetta siciliana ha riguardato fondali di grande interesse scientifico: tra gli organismi più colpiti dall’innalzamento delle temperature vi sono le gorgonie, spesso ricoperte da mucillagine che in alcuni casi arriva a rivestirne il 40% della superficie, e con segni evidenti di necrosi che a seconda delle specie coinvolgono il 30-40% delle colonie; ancora, alghe corallinacee incrostanti che presentano segni di sbiancamento nel 20-40% dei casi; il madreporario Astroides calycularis, che in tre siti sui quattro monitorati registra un tasso di mortalità del 5-10%. 
«La mucillagine, in particolare – osserva Monica Montefalcone, ecologa marina del DISTAV – solitamente si sviluppa a inizio estate, ma i primi dati del monitoraggio mostrano che quest’anno il fenomeno è anticipato e potrebbe quindi durare più a lungo nel tempo, con gravi impatti sulle specie che vivono sui fondali». 

A Capo Milazzo sono state rilevate anche molte specie termofile, native e aliene. Un generale incremento delle temperature potrebbe avere favorito il proliferare di specie ittiche termofile native come la cernia dorata (Epinephelus costae), la cernia rossa (Mycteroperca rubra), il pesce pappagallo del Mediterraneo (Sparisoma cretense) e il barracuda del Mediterraneo (Sphyraena viridensis). Tra le specie aliene, invece, di particolare rilievo è la presenza di alghe quali Caulerpa cylindracea, Caulerpa taxifolia, e Asparagopsis armata. 
«Questi risultati preliminari – commenta Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia – confermano ancora una volta come gli effetti del cambiamento climatico e delle anomalie termiche siano evidenti anche in un’area come quella di Capo Milazzo, con fondali mozzafiato che necessitano di essere difesi».

La stazione di monitoraggio delle temperature marine di Capo Milazzo è soltanto l’ultima installata da Greenpeace nell’ambito del progetto “Mare Caldo”, di cui a giugno sono stati presentati i risultati riguardanti le rilevazioni delle temperature e i monitoraggi biologici effettuati negli ultimi tre anni in diverse aree marine protette italiane. Il report di “Mare Caldo” ha confermato un aumento generalizzato delle temperature, con conseguenze evidenti sulla flora e sulla fauna del Mediterraneo e un’intensificazione degli eventi climatici estremi. Dal 2020 al 2022 è stato analizzato oltre un milione di dati di temperatura in nove aree di studio e sono stati osservati vari segnali riconducibili agli effetti del riscaldamento globale, con cambiamenti – con ogni probabilità irreversibili – in tutte le comunità di scogliera indagate. 
Tra giugno e settembre 2022 all'Isola d'Elba e nell’area marina protetta di Portofino, le prime due aree entrate nel progetto e per le quali si dispone di dati di temperatura triennali, a 10-15 metri di profondità sono state registrate anomalie termiche fino a 2°C in più rispetto alle medie mensili degli anni precedenti. In tutte le aree monitorate sono stati osservati segni di sbiancamento e necrosi in varie specie, attribuibili al riscaldamento delle acque. L’area marina protetta di Capo Carbonara e l’Isola d’Elba sono le aree dove si sono osservati i maggiori impatti sulle gorgonie. A Capo Carbonara, in particolare, il 50% delle colonie di gorgonie rosse ha mostrato segni di necrosi. All’Isola d’Elba è aumentata la frequenza di mortalità della madrepora Cladocora caespitosa. Infine, nelle aree marine protette di Capo Carbonara e Torre Guaceto i segni di sbancamento delle alghe corallinacee incrostanti hanno raggiunto rispettivamente il 65% e il 45%. 

Sul versante Adriatico, nell’area marina protetta di Miramare, a Trieste, sono state registrate morie di massa del mollusco bivalve Pinna nobilis che hanno coinvolto tutte le popolazioni mediterranee di questa specie dal 2018. Nelle aree marine protette più meridionali è stato registrato il maggior numero di specie termofile, il cui potenziale aumento, unito alla diffusione di specie aliene, potrebbe portare a un impoverimento delle comunità autoctone. La mitigazione e la corretta gestione delle attività umane (pesca, turismo, urbanizzazione, sviluppo costiero) che possono avere un impatto locale, anche grazie all’istituzione di aree marine protette, sono le migliori strategie per aumentare la resilienza degli ecosistemi marini. Ma questi interventi devono essere accompagnati da politiche climatiche ed energetiche in grado di abbattere velocemente le emissioni di gas serra, perché anche le aree protette subiscono gli effetti della crisi climatica.
 
Leggi QUI il rapporto completo.

Marilisa Romagno
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