08/01/2024 - 17:35

Piano Nazionale di Adattamento: tanto rumore per nulla?

Abbiamo finalmente un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), strumento importante e indispensabile atteso da anni. Le buone notizie però, sottolinea il WWF, finiscono qui. Il Piano appena pubblicato, dopo le varie consultazioni e l’unanime denuncia della mancata identificazione di azioni davvero in grado di anticipare i cambiamenti provocati dalla crisi climatica e dei finanziamenti necessari, è analogo al precedente e ha gli stessi limiti.

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Mancanza di decisioni chiare e coraggiose, identificazione sintetica dei possibili impatti e problemi, scarsa e deficitaria individuazione delle cose da fare e di come finanziarle. Sono le principali criticità già denunciate dall'associazione ambientalista sul Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, approvato il 21 dicembre scorso. Il Piano, sottolinea il WWF, va quindi preso come un primo passo: ora però tocca ai decreti attuativi e agli organi di governance cercare di correggere gli evidenti limiti e costruire un percorso che porti a quell’approccio sistemico che pure il PNACC richiama. Sicuramente sarà nostra cura segnalare ulteriori, colpevoli ritardi o limiti in tale senso.

Non risponde al vero la giustificazione che pare essere addotta per i ritardi del piano, cioè un presunto approccio bottom-up della sua stesura: in realtà, l’approccio è stato centralizzato e le consultazioni e la VAS non paiono aver inciso più di tanto. Probabilmente sarebbe stato difficile partire con un mero approccio bottom-up perché la cultura dell’adattamento va costruita. Alcune realtà (Comuni, Autorità di Bacino ecc.) stanno effettuando percorsi, anche partecipativi, di notevole interesse, ma il metodo adottato ha consentito poco che venisse trasferito a livello nazionale.

Non è ammissibile, continua il WWF, che dopo 7 anni si proponga un Piano con “possibili opzioni di adattamento” “che troveranno applicazione nei diversi strumenti di pianificazione, a scala nazionale, regionale e locale”. I Piani si chiamano così perché servono a pianificare concretamente operando scelte, specie a livello nazionale e sovraregionale. Un altro grave limite del Piano è che pare individuare le azioni solo a livello urbanistico e territoriale: non che non sia importante, è vitale e, nel contempo, molto carente, ma il WWF ritiene che la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico dovrebbero costituire la base per la programmazione in senso generale, a partire da quella economica e sociale. Questo è un elemento di arretratezza che, dopo sette-otto anni di attesa, appare davvero poco giustificabile.

Come nella precedente versione, è utile la sintesi dell’analisi degli impatti della crisi climatica, a riprova che, sin dalla Strategia, la ricerca italiana sta producendo previsioni di impatto interessanti e significative, nonostante la scarsità di risorse. Molto indietro, invece, siamo nell’analisi degli impatti socioeconomici. In merito alle azioni, il Piano appare fortemente deficitario di quella visione integrata che dovrebbe consentire di pensare l’adattamento non come mere misure di emergenza o di messa in sicurezza del territorio. Oggi la coscienza e conoscenza dei rischi dovrebbe portare a misure strutturali che il Piano ancora non intravede. Questo oltretutto cozza con quell’approccio sistemico che proprio il PNACC afferma.

Anche sui finanziamenti, il Piano non individua nuove risorse, ma suggerisce l’uso di risorse esistenti, e questo appare sia insufficiente che velleitario, essendo oltretutto nota la tendenza della macchina a continuare a operare nel modo conosciuto, cioè senza davvero incamerare e rendere prioritari i fattori legati al cambiamento climatico. E comunque questo approccio sarebbe senz’altro utile e doveroso, ma come misura integrativa, dal momento che oltretutto è nota la carenza di fondi per il governo e la messa in sicurezza del territorio.

Anche la Governance prevista dal Piano è molto discutibile, laddove assegna all’organo partecipativo (Forum) soprattutto compiti divulgativi, quasi da cassa di risonanza, o di mera “informazione” della società civile. Evidentemente, alla luce di quanto sottolineato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio di fine anno, sarebbe bene che le istituzioni si ponessero davvero il problema di come consentire una reale partecipazione che integri e indirizzi l’attuale carenza culturale.

Tommaso Tautonico
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