01/01/2013 - 01:00

La mobilità sostenibile? È una questione urbanistica

Un diverso approccio nella costruzione delle città può ridurre traffico e inquinamento, ma anche migliorare socialità e sicurezza. È il concetto di "città compatta", ormai diffusa in Nord Europa e negli Usa, che ha tra i suoi ideatori l'urbanista italiano Gabriele Tagliaventi.
"Le questioni di inquinamento e congestione generate dal trasporto si possono superare partendo da un differente sviluppo urbanistica". A dirlo è Gabriele Tagliaventi, docente dell'Università di Ferrara e tra i fondatori di Movimento per il rinascimento urbano e di Eco Compact City Network, associazioni sorte per promuovere una nuova concezione di metropoli, la "città compatta". "In Italia", spiega, "si continua a perseguire la logica della "città estesa" costruendo villette a schiera, centri commerciali, multisale cinematografiche e palazzi zeppi di uffici fuori dai centri abitati. Un'occupazione impropria del territorio che non fa altro che aggravare i problemi economici e ambientali".

A supporto delle proprie tesi l'urbanista emiliano porta l'esempio di Bologna. "Negli ultimi decenni la popolazione è diminuita del 25% e la superficie urbanizzata cresciuta del 90% raggiungendo un'estensione cinque volte superiore a quella di Bilbao, località spagnola paragonabile per numero di abitanti. Un'evoluzione che ha costretto il Comune a creare nuove infrastrutture, allungare le linee di trasporto pubblico e, di conseguenza, aumentare le spese. Per contro il calo di residenti e passeggeri ha ridotto le entrate provocando un deficit di bilancio compensato con l'introduzione di nuovi balzelli. E in cambio di maggiori tasse i cittadini hanno servizi inefficienti, un traffico caotico e livelli di inquinamento intollerabili".

La ricetta per un modello urbano sostenibile si chiama "città compatta" e si basa su due principi: occupare meno territorio possibile costruendo negli spazi vuoti all'interno della città e integrare le destinazioni d'uso, quali abitazioni, esercizi commerciali e uffici. "Si tratta", dice Tagliaventi, "di recuperare il concetto di quartiere con edifici che mescolano alloggi, luoghi di lavoro e, al piano terra, negozi, servizi e luoghi di intrattenimento. Il tutto inframmezzato da piazze e aree verdi. Un modello che si ripete nelle città più grandi affiancando più quartieri autonomi collegati tra loro da una fitta rete di trasporto pubblico". Un approccio che, eliminando i poli attrattivi esterni, riduce la domanda di spostamento e favorisce quelli a piedi, in bici o collettivi, ora più efficienti per la maggiore densità abitativa. Un contesto nel quale l'auto è rilegata nelle zone perimetrali del quartiere per utilizzarla soltanto per le destinazioni non raggiungibili in pullman, treno e aereo.

La riduzione nell'impiego delle auto si traduce in minore dipendenza dal petrolio, riduzione dei costi sociali dovuti al traffico e inferiori emissioni di gas serra e inquinanti. Benefici ambientali arrivano pure dall'impiego di materiali regionali e di tecniche di bioedilizia per le costruzioni e dall'incremento delle aree verdi periferiche. Un fattore, quest'ultimo, che favorisce l'agricoltura locale, e quindi gli alimenti a "km 0", e rappresenta una tutela al dissesto idrogeologico. Migliorano pure socialità e sicurezza, merito dell'integrazione delle destinazioni d'uso e della presenza di locali pubblici di quartiere che aumentano i momenti di aggregazione e rendono le strade più affollate e, di conseguenza, più presidiate. "Insomma", conclude Tagliaventi, "la città compatta è un modello dove tutti vincono e nessuno perde".
Stefano Panzeri
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