01/01/2013 - 01:00

I reati edilizi e l'applicabilità della scriminante dell'esercizio del diritto ex art. 51 c. p.

L'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere scrimina nei soli limiti in cui tale diritto (o adempimento doveroso) è riconosciuto, dovendosi verificare per l'applicabilità della scriminante una convergenza di norme in conflitto- Suprema Corte di Cassazione Sezione III penale, Sentenza 16 novembre 2011, n. 42049
La Suprema Corte di Cassazione Sezione III penale, con la Sentenza 16 novembre 2011, n. 42049 ha affrontato la problematica relativa all'applicabilità della scriminante dell'esercizio del diritto (art. 51 cod. pen.) ai reati edilizi.

Secondo la Corte, infatti, "il diritto del proprietario del fondo di migliorare dal punto di vista agrario il proprio terreno (estrinsecazione del diritto di proprietà costituzionalmente garantito) non può determinare lo stravolgimento di altre norme poste a garanzia di tutela della intera collettività, quali, appunto quelle che regolano il territorio e l'ambiente ed apprestano una forma di tutela generalizzata".

Nel caso di specie, la sentenza 16 giugno 2010 della Corte di Appello di Trieste confermava la sentenza del GIP del Tribunale di Pordenone del 17 luglio 2008 con la quale F.P. (imputato dei reati di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) era stato ritenuto colpevole dei detti reati e condannato alla pena ritenuta di giustizia.

La vicenda riguardava, in particolare, lo spostamento da parte del F. verso il corso d'acqua denominato "(OMISSIS)" del Comune di (OMISSIS), del tracciato della strada interpoderale campestre ivi esistente sita al limite di un terreno di sua proprietà al fine di ampliare il vigneto esistente. Detti lavori, che avevano comportato una modifica permanente dello stato dei luoghi, oltre a non essere assistiti dal permesso di costruire, erano anche privi dell'autorizzazione della Sopraintendenza ai Beni Ambientali, trattandosi di zona soggetta a vincolo ambientale in quanto ricompresa nella fascia di rispetto del predetto corso d'acqua.

La Corte territoriale, nel rispondere alle doglianze difensive che facevano leva sulla non necessità di alcuna autorizzazione preventiva ovvero permesso di costruire versandosi in tema di attività edilizia c.d. "libera" avente per oggetto esclusivamente l'ampliamento e risistemazione del proprio terreno attivato a vigneto e non la modifica di una situazione dei luoghi preesistenti, aveva ritenuto sussistenti entrambe le condotte contestate sulla base di risultanze oggettive costituite dalla documentazione planimetrica e fotografica acquisita al fascicolo processuale.

Ha proposto, quindi, ricorso per cassazione avverso la detta sentenza l'imputato personalmente deducendo contraddittorietà ed illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale.

Tuttavia, il ricorso non ha trovato accoglimento perché infondato.

Innanzitutto, sostiene il collegio, che è da disattendere la tesi difensiva incentrata sulla inosservanza da parte della Corte di Appello dei principi che governano gli istituti penali dell'esercizio di un diritto o dell'adempimento di un dovere come delineati dall'art. 51 c.p.

In particolare, secondo il ricorrente i lavori di risistemazione della stradella interpoderale avrebbero costituito la conseguenza necessitata della precedente attività di risistemazione ed ampliamento del vigneto e non già viceversa come sembrerebbe emergere dalla lettura della sentenza impugnata.

Osserva al riguardo la Corte che "sostanzialmente il ricorrente ha prospettato una lettura alternativa delle risultanze probatorie rispetto a quella effettuata dalla Corte territoriale che è certamente preclusa in sede di legittimità"

"nè può condividersi l'assunto del ricorrente secondo il quale la Corte, nel ritenere sussistente quella modifica dello stato dei luoghi in zona vincolata attraverso la realizzazione di un'opera nuova, sia incorsa in illogicità, in quanto l'intera struttura motivazionale su cui poggia la sentenza fa leva su risultanze documentali di tipo oggettivo cui la Corte ha attribuito portata decisiva".

Intanto può farsi applicazione della scriminante invocata dal ricorrente in quanto l'attività posta in essere costituisca una corretta estrinsecazione delle facoltà concernenti il diritto che viene in considerazione, nel senso che il fatto penalmente rilevante sotto il profilo formale sia stato effettivamente determinato dal legittimo esercizio di un diritto da parte dell'agente.

In via generale osserva ancora la Corte "che l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere scrimina nei soli limiti in cui tale diritto (o adempimento doveroso) è riconosciuto, dovendosi verificare per l'applicabilità della scriminante una convergenza di norme in conflitto" (per tali concetti, in generale v. Cass. Sez. 6A 2.12.2010 n. 14540, Pafadnam, Rv. 200025; Cass. Sez. 1A 7.6.1985 n. 9368, Silano, Rv. 170766).

"E' da escludere che nel caso in esame ciò si sia verificato in quanto il diritto del proprietario del fondo di migliorare dal punto di vista agrario il proprio terreno (estrinsecazione del diritto di proprietà costituzionalmente garantito) non può determinare lo stravolgimento di altre norme poste a garanzia di tutela della intera collettività, quali, appunto quelle che regolano il territorio e l'ambiente ed apprestano una forma di tutela generalizzata".

Correttamente quindi la Corte di Appello ha negato ingresso alla norma regionale invocata dal ricorrente (L.R. n. 52 del 1991, art. 61 poi sostituita dalla L.R. Friuli Venezia Giulia n. 5 del 2007) che faceva richiamo al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, nella parte relativa ad interventi non necessitanti di permesso di costruire), facendo invece puntuale richiamo ai contenuti del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1 che impone a chi voglia realizzare nuove opere - ivi comprese quelle stradali - il rilascio di apposita concessione edilizia (oggi permesso di costruire).

E che si trattasse di una nuova opera la Corte di Appello l'ha affermato sulla base di considerazioni assolutamente logiche derivanti da una lettura coordinata di documenti e fotografie raffiguranti la situazione dei luoghi quale era prima e dopo l'intervento del F.: la diversa ipotesi prospettata dal ricorrente implica pertanto quella alternativa ricostruzione in fatto (secondo la quale egli avrebbe agito per necessità solo dopo aver modificato il terreno perchè costrettovi dalla particolare conformazione delle opere di ampliamento ivi eseguite): operazione preclusa - come già accennato - nel giudizio di legittimità.

Peraltro, sostiene la Cassazione, la Corte di Appello ha correttamente enunciato il principio già affermato dal primo giudice che anche laddove i lavori realizzati riguardino una sede stradale sita in zona vincolata, è sempre necessario il provvedimento concessorio e la autorizzazione rilasciata dall'Autorità preposta alla tutela del vincolo quando tali lavori implichino una trasformazione urbanistica permanente dello stato dei luoghi (Cass. Sez. 3A 3.6.2004 n. 33186, Spano, Rv. 229130).

In aggiunta a ciò viene osservato che per costante giurisprudenza di legittimità integra il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 - che costituisce tipica figura di reato di pericolo - la mera realizzazione di lavori, attività o interventi in zona soggetta a vincolo, senza il permesso di costruire e la prescritta autorizzazione da parte dell'Autorità preposta alla tutela ambientale, con la conseguenza che è sufficiente che l'agente faccia del bene protetto un uso diverso da quello per cui esso è destinato, prescindendosi da ogni accertamento in ordine alla avvenuta alterazione (in termini tra le tante Cass. Sez. 6A 3.4.2006 n. 19733, Petrucelli, Rv. 234730).

La Suprema Corte ha, pertanto, rigettato il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Andrea Settembre
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