20/01/2015 - 19:35

Lavoro: ecco la situazione in Italia. Poletti: entro febbraio in Cdm il decreto attuativo della riforma dei contratti

“Le imprese e il lavoro. Cambiamenti strutturali ed economici, le esigenze di professionalità, la domanda di servizi e di semplificazione normativa”.
E’ questo il titolo del terzo Rapporto sul mercato del lavoro realizzata dalla Fondazione Obiettivo Lavoro, in collaborazione con Crisp (Centro di ricerca interuniversitario per i servizi di pubblica utilità dell’Università di Milano Bicocca) e Fondazione per la Sussidiarietà.

L’indagine, presentata oggi a Roma, fotografa la situazione del mercato del lavoro nel nostro Paese dal 1996 al 2011. Ciò che emerge in primo luogo è l’elevata vocazione imprenditoriale che storicamente caratterizza il nostro Paese. Nel 2011 nel nostro Paese operavano 63,6 imprese (dell’industria e dei servizi) ogni 1000 abitanti, valore di gran lunga superiore alla media europea (35,2 ogni 1000 abitanti). In particolare ad essere attive nel nostro Paese sono 4,4 milioni imprese che occupano circa 16,9 milioni di addetti (11,1 milioni sono dipendenti).  A questo si collega il dato relativo alle dimensioni e agli addetti delle imprese: in media ogni impresa ha 3,8 addetti e quasi il 70% sono lavoratori dipendenti.

Le microimprese (con meno di 10 addetti), rappresentano il 95,2% delle imprese attive (più della metà sono imprese individuali senza alcun dipendente) e il 46,3% degli addetti. Nelle grandi imprese (con almeno 250 addetti) si concentrano il 21% degli addetti, la quota rimanente, pari al 32,7%, si trova nelle imprese che hanno tra 10 e 250 addetti.
Relativamente al settore di attività economica, quello dei servizi si conferma, in termini quantitativi, il più importante settore dell’economia nazionale (77% di imprese e il 65% di addetti)l L’industria in senso stretto rappresenta il 10% delle imprese e il 25% degli addetti, mentre nel settore delle costruzioni si concentra il 14% delle imprese e il 10% di addetti.

La dinamica delle imprese e degli addetti dal 1996 al 2011 mostra in particolare un deciso incremento di occupazione tra il 2000 e il 2006 e una forte flessione nell’ultimo quinquennio nel quale gli addetti sono calati di 700 mila unità (-4% la variazione percentuale) e le imprese di circa 30 mila unità. Il calo degli addetti, in termini assoluti e percentuali, si evidenzia specialmente per la piccola e media impresa nei settori delle costruzioni e dell’industria manifatturiera.

Dal punto di vista territoriale, nell’ultimo quinquennio le Regioni che hanno perso maggiormente in termini di addetti sono state la Lombardia (-154 mila addetti), l’Emilia e il Piemonte (cali di 98 mila e 95 addetti, rispettivamente), perdita da imputarsi in particolar modo al settore manifatturiero (in media il 70% del calo di addetti si deve al calo nella manifattura con punte del 90% in Veneto e nelle Marche), e che riguarda più di 500 mila unità delle 708 mila globali (particolarmente in Lombardia -115 mila addetti, Emilia, Puglia e Veneto con cali di circa 60 mila addetti). Tale settore, insieme alle costruzioni presenta una variazione negativa dell’occupazione in tutte le regioni italiane, mentre nel solo settore legato alla sanità la variazione è positiva in tutte le regioni.

Nei settori che guadagnano di più (attività legate ai servizi di alloggio e ristorazione), la variazione positiva globale del 7,4% nel quinquennio è sostanzialmente dovuta agli aumenti della micro impresa fino a 9 dipendenti in quasi tutte le Regioni analizzate dall'indagine.Uno sguardo sintetico al panorama dell’impresa italiana, conferma infatti la presenza di imprese di piccole dimensioni, caratterizzate per lo più da un modello di proprietà e gestione familiare, e da scarsa partecipazione a reti, strategie competitive finalizzate soprattutto al mantenimento della propria posizione e allo sfruttamento dei vantaggi di localizzazione, mercati di riferimento che non vanno al di là del comune di localizzazione.

All’interno di un panorama a tinte così fosche non mancano segnali positivi. Le imprese italiane ad elevato contenuto tecnologico e di conoscenza sono caratterizzate da una maggiore redditività, maggiore efficienza e da una posizione finanziaria più florida rispetto aquelle più tradizionali e meno capaci di reggere la concorrenza internazionale. Tuttavia esse non sembrano avere alcun premio in termini di elasticità di occupazione rispetto alle imprese caratterizzate da un contenuto tecnologico e di conoscenza inferiore.

La spiegazione di questo comportamento che può sembrare paradossale è probabilmente da imputare alle caratteristiche istituzionali del mercato del lavoro. La rigidità del mercato del lavoro italiano, in particolare in uscita, influenza l’elasticità della domanda di lavoro in ragione del fatto che a fronte di potenziali costi di turnover le aziende hanno un atteggiamento molto più prudente, e in presenza di aumenti del fatturato tendono ad incrementare l’occupazione meno che proporzionalmente temendo di non poter fare il percorso inverso durante le fasi congiunturali avverse.

Sull’attuale situazione del mercato del lavoro in Italia si è espresso, a margine della presentazione del rapporto,  anche il ministro Giuliano Poletti, A proposito della precarietà che caratterizza il settore occupazionale, il titolare del dicastero del Lavoro ha sottolineato l’importanza del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che – ha precisato il ministro - mira a ridurre gli spazi di chi ''prova a fare il furbo''. Poletti ha inoltre annunciato che entro la fine di febbraio arriverà sul tavolo del Consiglio dei ministri il decreto attuativo di riforma dei contratti.
Rosamaria Freda
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