01/01/2013 - 01:00

Il risarcimento per danno ambientale in favore delle Associazione Ambientaliste

Le associazioni ambientaliste sono legittimate alla costituzione di parte civile "iure proprio", nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all'ambiente, per il risarcimento non del danno all'ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona singola od associata) dei danni direttamente subiti - Suprema Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 26 settembre 2011, n. 34761.
La Suprema Corte di Cassazione, Sezione III Penale, con la sentenza 26 settembre 2011, n. 34761 ha riconosciuto, nella specie, la legittimità della condanna generica al risarcimento del danno patito dall'associazione ambientalista "Legambiente", considerando quale "fatto illecito produttivo di danno civile risarcibile" il delitto di abuso di ufficio.

Orbene, la L. 8 luglio 1986, n. 349, art. 18 (istitutiva del Ministero dell'ambiente) ha introdotto nel nostro ordinamento, quale forma particolare di tutela, l'obbligo di risarcire il danno cagionato all'ambiente (alterazione, deterioramento o distruzione anche parziale) a seguito di una qualsiasi attività, dolosa o colposa, compiuta in violazione di un dispositivo di legge o di un provvedimento adottato in base a legge.

E' stata così prevista una peculiare responsabilità di tipo extracontrattuale (aquiliana) connessa a fatti, dolosi o colposi, cagionanti un danno "ingiusto" all'ambiente, dove l'ingiustizia è stata correlata alla violazione di una disposizione di legge e dove il soggetto titolare del risarcimento è stato individuato nello Stato.

La L. n. 349 del 1986, art. 18 prescriveva che l'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, potesse essere promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidevano i beni oggetto del fatto lesivo (comma 3).

La strada risarcitoria restava aperta ai privati solo ove essi lamentassero la lesione di un bene individuale compromesso dal degrado ambientale, sia esso la salute che il diritto di proprietà o altro diritto reale.

Il D.Lgs. n. 152 del 2006 (art. 318) ha poi espressamente abrogato (ad eccezione del comma 5, che riconosce alte associazioni ambientaliste il diritto di intervenire nei giudizi per danno ambientale) la L. n. 349 del 1986, art. 18 e, nell'art. 500 (commi 1 e 2), ha definito la nozione di "danno ambientale" con riferimento a quella posta, in ambito comunitario, dalla direttiva 2004/35/CE. Il cit. D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 311 riserva allo Stato, ed in particolare al Ministro dell'ambiente e detta tutela del territorio, il potere di agire, anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale.

Ai sensi del successivo art. 313, comma 7, comunque, "resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di damo ambientale, nella loro salute o nei beni di toro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi".

La normativa speciale dal "danno ambientale" dianzi descritta si affianca (non sussistendo alcuna antinomia reale) alla disciplina generale del danno posta dal codice civile, sicchè le associazioni ambientaliste - pure dopo l'abrogazione delle previsioni di legge che le autorizzavano a proporre, in caso di inerzia degli enti territoriali, le azioni risarcitorie per danno ambientale (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 9, comma 3, Abrogato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 318) - sono legittimate alla costituzione di parte civile "iure proprio", nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all'ambiente, per il risarcimento non del danno all'ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona singola od associata) dei danni direttamente subiti: danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico di natura pubblica, della lesione dell'ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale (vedi Cass., sez. 3: 3.10.2006, n. 36514, Censi; 11.2.2010, n. 14828, De Flamtnineis).

"Le associazioni ambientaliste, dunque, sono legittimate a costituirsi parte civile quando perseguano un interesse non caratterizzato da un mero collegamento con quello pubblico, bensì concretizzatosi in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo: in tal caso l'interesse all'ambiente cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e personificato" (vedi Cass., sez. 3, 25.1.2011, Polloni ed altri).

Ritiene il Collegio al riguardo (consapevole delle non convergenti posizioni espresse dalla 3 Sezione nelle sentenze n. 14828/20010 e n. 41015/2010, contenente quest'ultima il riferimento ai solo "danni patrimoniali") che il danno risarcibile secondo la disciplina civilistica possa configurarsi anche sub specie del pregiudizio arrecato all'attività concretamente svolta dall'associazione ambientalista per la valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto del fatto lesivo. In tali ipotesi potrebbe identificarsi un nocumento suscettibile anche di valutazione economica in considerazione degli eventuali esborsi finanziari sostenuti dall'ente per l'espletamento dell'attività di tutela.

La possibilità di risarcimento in favore dell'associazione ambientalista, in ogni caso, non deve ritenersi limitata all'ambito patrimoniale di cui all'art. 2043 c.c., poichè l'art. 185 c.p., comma 2 - che costituisce l'ipotesi più importante "determinata dalla legge" per la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. - dispone che ogni reato, che abbia cagionato un damo patrimoniale o non patrimoniale, obbliga il colpevole al risarcimento nei confronti non solo del soggetto passivo del reato stesso, ma di chiunque possa ritenersi "danneggiato" per avere riportato un pregiudizio eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo.

Nella fattispecie in esame viene contestato, nei ricorsi, che un danno affatto possa discendere dai delitti di abuso e di falso dichiarati prescritti dalla Corte di merito .

La Corte territoriale, però, ha evidenziato che le condotte di abuso di ufficio e di falso tenute in concreto dagli imputati "hanno consentito che non si fermasse in tempo la devastazione ambientale" ed in proposito va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema:

- ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile, non è necessario che il danneggiato dia la prova della effettiva sussistenza dei danni e del nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore dell'illecito, ma è sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia, infatti, costituisce una mera declaratoria iuris, da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione (vedi Cass. pen.: Sez. 1, 18.3.1992, a 3220; Sez. 4, 15.6.1994, n. 7008; Sez. 6, 26.8.1994, n. 9266);

- la facoltà del giudice penale di pronunciare una condanna generica al risarcimento del danno, prevista dall'art. 539 c.p.p., non incontra restrizioni di sorta in ipotesi di incompiutezza della prova sul quantum, bensì trova implicita conferma nei limiti dell'efficacia della sentenza penale nel giudizio civile per la restituzione e il risarcimento del danno fissati dall'art. 651 c.p.p., escludendosi, perciò, l'estensione del giudicato penale alle conseguenze economiche del fatto illecito commesso dall'imputato (vedi Cass. pen., Sez. 4, 26.1.1999, n. 1045);

- la condanna generica al risarcimento dei danni, contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice riconosca che la parte civile vi ha diritto, non esige alcun accertamento in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, ma postula soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fiuto dannoso e della probabile esistenza di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, salva restando nei giudizio di liquidazione del quantum la possibilità di esclusione dell'esistenza stessa di un danno unito da rapporto eziologico con il fatto illecito
(vedi Cass. civ., Sez. 3, 11.1.2001, n. 329).

Applicando alla vicenda in esame gli anzidetti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi legittimo l'effettuato accertamento di fatti potenzialmente produttivi di conseguenze dannose, ben potendo tuttavia il giudice civile, in sede di liquidazione del quantum, pervenire eventualmente anche alla esclusione dell'esistenza stessa di un danno eziologicamente connesso con il fatto illecito.
Andrea Settembre
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